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La Decorazione degli interni della dimora

L’appartamento, il cui accesso è consentito da via Cavour, è rivolto verso piazza Sordello ed è composto da una serie di stanze riccamente decorate.

Già dal Catasto Teresiano di fine Settecento si conosce il nome dell’antico proprietario: si tratta di Gerolamo Guerrieri Gonzaga.

Nei primi anni del XIX secolo il palazzo è proprietà del marchese Tullo Guerrieri, nato a Mantova nel 1773, morto nel 1845 con la conseguente estinzione della famiglia.

Tullo Guerrieri Gonzaga è dal 1811 al 1815 podestà di Mantova: la sua fortuna è legata al periodo napoleonico. Fu tra i proprietari immobiliari più cospicui nei primi anni dell’Ottocento: il suo patrimonio era costituito dal palazzo avito in contrada S.Agnese (ora via Cavour) e da altre proprietà del contado, tra cui la villa di Volta Mantovana, di cui si dovrà parlare a proposito della decorazione dell’appartamento in oggetto.

Come è ricordato nel necrologio di Tullo Maria Guerrieri Gonzaga, apparso nella Gazzetta di Mantova del 1 novembre 1845, il nobile è citato per i dipinti fatti realizzare all’interno del suo palazzo cittadino da "I migliori allievi della scuola patria di pittura". Nel contempo le decorazioni della villa di Volta, come risulta dai pagamenti dell’epoca, vengono liquidate a Paolo Zandalocca (1740-1828), pure allievo dell’Accademia mantovana di Belle Arti, incaricato di ornati nella basilica di Sant’Andrea nel tardo Settecento, sotto la guida dell’architetto Paolo Pozzo.

La scuola mantovana di ornato voleva ripristinare le decorazioni raffaellesche delle logge Vaticane, diffuse dalle incisioni del Camporese e del Volpato, edite a Roma nel 1772-76. Modello mantovano era anche il Palazzo Te, il cui restauro venne diretto da Paolo Pozzo, animatore del classicismo mantovano, con il concorso degli allievi dell’Accademia di Belle Arti. Al 1774 risale il primo progetto di restauro di Palazzo Te e gli stessi artefici che vi lavorano si impegnano anche in palazzi e case della città e del contado.

All’interno della dimora sono riconoscibili il pittore Giulio Rubone per la cinquecentesca "Sala dei Cesari", i pittori Felice Campi, per la "Sala dell'Aurora" e la "Sala dei Miti", il veronese Giuseppe Canella, per l'omonima sala, infine Paolo Zandalocca per la "Sala degli Antenati".

Le guide di Mantova del primo Ottocento ricordano che nel 1811 Tullo Guerrieri Gonzaga fa fare nel proprio palazzo, anzi nella torre, una sala ornata da Paolo Zandalocca. Tra il 1811 e il 1815 il Guerrieri è podestà di Mantova; nel 1816 si trasferisce a Milano.

La decorazione delle stanze dell'appartamento rivolte su Piazza Sordello indica in modo emblematico il passaggio da un gusto accademico ad una cultura più moderna, che possiamo definire romantica, ma con salde radici illuministiche.

Nella seconda sala nella volta è dipinta l’Aurora, che è copia diligente del capolavoro di Guido Reni affrescato nel Casino Rospigliosi di Roma. Reni rappresentò per l’Accademia di Belle Arti mantovana un esempio di ideale classico.

Il pittore qui impegnato nell’eloquente ripresa del Reni è Felice Campi: un artista mantovano (1746-1817) attivo in città nell’appartamento degli Arazzi nel Palazzo Ducale, nella Cattedrale, nella decorazione della basilica di S. Andrea.

Nella terza saletta, che rammenta per impostazione spaziale il gabinetto di passaggio dell’appartamento degli Arazzi nel Palazzo Ducale di Mantova, si manifestano quattro scene di tema mitologico: Storia di Endimione e Ila e le ninfe accusano una qualità più modesta di quella del Campi e quindi probabilmente dovute ad un aiuto.

Più elevata è la fattura delle altre due scene vicine alla finestra: Scena di vita romana e Venere con Mercurio. Qui si rivela la pulizia disegnativa del Campi, distinto da colori chiari e delicati, garbo compositivo, panneggio moderato.

La novità più sorprendente è rappresentata dalla quarta sala dove si rivela una nuova mano, più sensibile al paesaggio e attenta al reale.

L’ambiente è dedicato alla rappresentazione della villa dei Guerrieri di Volta Mantovana, che era il luogo di delizie del proprietario. Infatti un angelo nella volta ostende un cartiglio con il verso di Virgilio: "Deus nobis haec otia dedit" (Bucoliche, V, 6).

Si richiama direttamente al soffitto della camera del Sole nel Palazzo Te la volta, scompartita in losanghe azzurre con figurine bianche in stucco.

Nelle pareti si rivela un nuovo, più attuale intervento, del tutto svincolato dall’immaginario classicistico.

In cinque riquadri, presentati come scene teatrali con eleganti sipari e ghirlande di fiori, emerge una singolare sensibilità al paesaggio.

Vi si riconosce l’intervento del veronese Giuseppe Canella (1788-1847) che diventerà grande paesaggista nel corso dell’Ottocento. Presso le Raccolte d’Arte del Museo del Castello Sforzesco di Milano è conservata una breve biografia manoscritta del Canella. Il pittore afferma che abbandona Verona attorno al 1810 e lavora per Mantova e Venezia sulle orme del padre Giovanni, pittore prospettico e quadraturista.

Un segno dell’opera mantovana del Canella è stato riconosciuto in un complesso di tempere di palazzo Massarani, confrontabili con le scene della dimora di Tullo Guerrieri.

Rivelatore della cultura del Canella è il paesaggio con il fluire del Mincio: i vasi con fiori e il tripode fumigante documentano la conoscenza della tradizione di paesaggio francese. Come è stato indicato, il Canella si riallaccia al vedutismo veneto settecentesco, in particolare al Bellotto, richiamato per la vivida percezione della realtà.

Il profilo di Volta Mantovana è nitido nella scena con il borgo visto da lontano. Si distinguono la chiesa parrocchiale, il convento delle monache e l’edificio della villa. In altri riquadri la villa si avvicina e si dispiega nell’amenità del sito con i bellissimi verzieri. In primo piano statue allegoriche e trofei di frutta ritmano la scena.

Sorprendente è il riscontro con i documenti d’archivio e i rilievi catastali. Già nel 1659 compare in un inventario la descrizione del giardino. Vi è una grande profusione di elementi architettonici: una fontana costituita da varie vasche, pergolati, un poggio, statue di dee e personaggi. Le aiuole erano recintate da siepi di bosso, disposte a formare parterres con fiori.

In un inventario del 1732 vengono citate piante di agrumi. Dal più completo inventario del 1766 si desume che il giardino ha mutato il suo aspetto: i dislivelli naturali del terreno sono sfruttati in soluzioni originali. Aumentano i poggi da cui si può ammirare il panorama. I viali rettilinei e simmetrici, fiancheggiati da statue, si incontrano ortogonalmente con nuovi effetti prospettici.

Varia è la qualità delle piante: non solo aranci e limoni, ma anche fichi.

L’adesione alla realtà da parte del Canella è lucida e razionale: pausati gli spazi, calibrati i volumi, ariose le quinte arboree.

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